Cosa si nasconde dietro l’odore pungente del lavaggio a secco: ecco i rischi

L’odore pungente che si percepisce spesso nei capi appena ritirati dalla lavanderia a secco non è soltanto un dettaglio olfattivo fastidioso: rappresenta la “firma chimica” di alcuni composti impiegati per la pulizia industriale dei tessuti, e può essere il segnale di rischi per la salute e per l’ambiente che è importante conoscere e valutare con attenzione.

Chimica del lavaggio a secco: cosa respirano i nostri sensi

Il lavaggio a secco, diversamente dal lavaggio ad acqua, utilizza solventi organici in grado di sciogliere lo sporco e le macchie senza bagnare davvero i tessuti. Tra questi il tetracloroetilene (o percloroetilene, noto anche con la sigla PERC) è stato a lungo il protagonista indiscusso, anche se negli ultimi anni sono arrivate alcune alternative più “verdi” come idrocarburi sintetici, solventi siliconici e CO₂ liquida.

Il caratteristico odore intenso – metallico, pungente, talvolta con sfumature che ricordano il cloro o la plastica – deriva proprio dalla volatilità di questi solventi, che vengono parzialmente trattenuti nelle fibre dei tessuti e rilasciano vapori durante l’uso quotidiano degli abiti.

Il pericolo invisibile: salute e inquinamento ambientale

L’esposizione a percloroetilene avviene in modo subdolo: il solvente può essere inalato dagli operatori delle lavanderie, ma anche da chi indossa gli abiti puliti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica già da tempo il PERC come possibile cancerogeno per l’uomo, in particolare per i lavoratori del settore, esposti a livelli molto più elevati rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, non mancano i rischi anche per chi si limita ad “affidare” i propri abiti e poi li indossa subito dopo il lavaggio.

  • Effetti acuti: l’inalazione dei vapori di percloroetilene può causare mal di testa, irritazione agli occhi e alle vie respiratorie, stordimento, nausea e un senso diffuso di malessere.
  • Effetti cronici: l’esposizione reiterata nel tempo, anche a basse concentrazioni, è stata collegata a disturbi neurologici, epatici e renali, nonché – come si accennava – a un rischio aumentato di tumori, in particolare linfomi e carcinomi epatici e renali.
  • Popolazioni sensibili: bambini, anziani, persone con patologie croniche possono manifestare una vulnerabilità maggiore agli effetti tossici dei solventi.

Oltre ai rischi per la salute umana, il lavaggio a secco pone interrogativi ambientali rilevanti. Una volta liberato nell’aria o nelle acque reflue, il PERC è persistente e difficile da degradare: può contaminare le falde acquifere, alterare la qualità dell’aria interna e rappresentare una minaccia per flora e fauna acquatiche. Basta pensare che alcune concentrazioni di percloroetilene sono rilevate anche a distanza di anni nelle acque sotterranee in prossimità di lavanderie industriali e artigianali.

Alternative al percloroetilene: sono davvero sicure?

L’Unione Europea ha cominciato a limitare l’uso di PERC in tintorie urbane e sempre più attività stanno adottando tecnologie di lavaggio più sicure. Tuttavia, tutte le alternative presentano pro e contro da considerare:

  • Idrocarburi sintetici: hanno un odore meno intenso e rischi tossicologici inferiori, ma sono derivati dal petrolio e presentano un certo grado di infiammabilità.
  • Solventi siliconici (D5 o decametilciclopentasilossano): vengono promossi come delicati ed eco-friendly, ma alcune ricerche mettono in guardia sul loro potenziale accumulo negli organismi acquatici e sugli effetti a lungo termine non ancora completamente chiariti.
  • CO₂ liquida: è considerata una delle soluzioni più avanzate, in quanto impiega anidride carbonica compressa ed è quasi priva di tossicità sia per uomo che per ambiente, ma i costi di installazione e gestione restano, a oggi, proibitivi per molte piccole imprese.

È importante sottolineare che nessuna tecnologia è “perfetta”: anche le alternative più moderne richiedono una gestione attenta, sia nei processi di pulizia che nello smaltimento dei residui chimici.

Consapevolezza e buone pratiche per ridurre i rischi

Considerata la natura dei composti impiegati nel lavaggio a secco, ignorare l’odore pungente significa sottovalutare un vero e proprio segnale di attenzione.

  • Areare gli ambienti: appena ritirati i capi dalla lavanderia, è buona prassi lasciarli “respirare” in ambienti ben ventilati prima di indossarli o riporli negli armadi, per favorire la dispersione dei vapori residui.
  • Bando al fai da te: il lavaggio a secco domestico con kit chimici non elimina i rischi, anzi, può aumentarli se i prodotti vengono utilizzati in ambienti poco ventilati o senza rispettare le precauzioni specifiche.
  • Preferire lavanderie certificate: molte imprese espongono la documentazione relativa all’adozione di tecnologie più “green”. Se possibile, è utile selezionare chi dichiara apertamente i solventi utilizzati e dispone di impianti di abbattimento delle emissioni.
  • Valutare alternative: in molti casi, il lavaggio tradizionale ad acqua può essere sufficiente. I progressi nei detersivi e nei sistemi di lavaggio consentono di rimuovere anche macchie difficili da abiti etichettati “solo lavaggio a secco”, riducendo così la frequenza di esposizione ai solventi.
  • Richiedere informazioni: non esitare a informarsi presso la tintoria su solventi utilizzati e sulle certificazioni degli impianti, per fare scelte piú consapevoli.

Tra le tecniche eco-sostenibili che vanno diffondendosi, il wet cleaning (“lavaggio ad umido professionale”) rappresenta una promettente via di mezzo: utilizza acqua e detergenti biodegradabili in combinazione con macchinari computerizzati per trattare anche tessuti delicati, riducendo sensibilmente il rischio chimico.

Impatto economico e panoramica normativa

Oltre agli aspetti sanitari e ambientali, il dibattito intorno al lavaggio a secco coinvolge anche il mondo dell’economia circolare e della regolamentazione. Alcuni paesi, come la Danimarca e diversi stati degli USA, hanno già vietato l’uso del PERC nei centri urbani, mentre in Italia la normativa impone limiti sempre più stringenti sulle emissioni in atmosfera e sull’uso dei solventi clorurati.

L’alternativa più sicura, anche dal punto di vista della salute pubblica, resta la riduzione del ricorso al lavaggio a secco per quei capi in cui non sia strettamente necessario, la scelta di tessuti facili da lavare in acqua e l’affidarsi a professionisti aggiornati sulle tecnologie meno impattanti.

In conclusione, dietro l’odore pungente spesso avvertito sugli abiti “appena tornati” dal lavaggio a secco si celano solventi industriali complessi, questioni tossicologiche e sfide ambientali di cui è fondamentale prendere coscienza. Scegliere alternative più sicure, informarsi sui processi utilizzati e adottare semplici pratiche preventive contribuisce non solo a tutelare la propria salute, ma anche a proteggere l’ambiente e ridurre i rischi associati al settore della pulizia professionale dei tessuti.

Per approfondire la chimica dei solventi clorurati e le alternative più diffuse nel settore, si può consultare la voce lavaggio a secco.

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